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al testo di Ferdinando Giordano
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Avrei voluto essere il gene d’uomo che cancella le bestemmie e allunga i monconi e riempie le narici con un buon odore. E salda i debiti con il passato, non con l’oro. Purtroppo per loro, non sono una fonte miracolosa. Sono acqua al settantapercento, torva. Limo fino ai piedi che monto a pelo. Un rivolo pieno di batteri coprofili: credo vizi; esalazioni, credo, di un reagente organico; fatemorgane dalle parole a vapore: chi glielo ha detto di farsi gioco dei pensieri? Questa ipotesi sulla lingua è una gratitudine rivolta al genere fesso: il mio. Quando ero fanciullo, o ruscello, non come adesso che riporto resti, c’era qualcosa che alimentava con buona ragione un corso, un letto di portata maggiore. Era il gene d’uomo “che doveva essere trasmesso” - disse il professore Lardo che aveva letto il mio diario a tentoni. Un diario a tamburo, caricato a salve.
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